Il limite nello sport

Pubblichiamo oggi un altro approfondimento di Claudio Mistrangelo per la rubrica “Area Tecnica”.

L’argomento è il limite nello sport, analizzato da un punto di vista decisamente inusuale.

Premessa attuale

Ho scritto questo pezzo nel 2010 per un’associazione culturale “Il Circolo degli Inquieti” che svolge ogni anno un suo convegno a Finale Ligure, nelle vicinanze di Savona.

Ha poco o nulla a vedere con tattica e tecnica e con la pallanuoto in genere, ma qualcosa con la figura dell’allenatore inteso come lo definiva Fritz Dennerlein, cioè un intellettuale dello sport. Ci torneremo. Molti, dei pochi che lo leggeranno, storceranno il naso e a ragione, ma se avranno la bontà di andare al di là del mio modesto risultato, la riflessione di Dennerlein rimane per me un punto fermo.

Ci torneremo in un prossimo pezzo sulle competenze del tecnico sportivo.

Il concetto di limite è un concetto strettamente legato allo sport. Forse non è un caso che Zenone di Elea pensasse ad una gara (Achille e la tartaruga) per evidenziare l’assurdo logico dell’illimitata divisibilità dell’essere.

Zenone, infatti, sosteneva che se una tartaruga ha un passo di vantaggio non sarà mai raggiunta dal piè veloce Achille (una specie di Bolt dell’epoca), perché “è necessario che chi insegue giunga in precedenza là dove si mosse chi fugge, di modo che il più lento avrà sempre un qualche vantaggio”.

A guardar bene, una follia pratica tale che solo un cieco tifoso dell’essere unico e indivisibile poteva sostenere, però anche una follia logica tale che ci vorranno secoli prima che qualcun altro, un tifoso del limite, trovi il modo di far raggiungere quella benedetta tartaruga, oltre che nella realtà anche nella logica, dal povero frustratissimo più veloce. Tutto ha un limite, anche i paradossi.

Eppure il paradosso zenoniano sembra ritornare ad ogni grande record sportivo quasi che quella gara, tra Achille e la tartaruga, fosse la gara dello sport contro tutti i limiti umani.

Infatti, il (concetto di) limite entra nello sport come limite relativo: relativo ad una prestazione di un singolo atleta, alla prestazione di una squadra, ad un tempo da battere, ad un record personale da superare…. In tale accezione è talmente intrinseco allo sport che ne è pratica quotidiana: nella crescita dei volumi e della qualità dell’allenamento, nel costante tentativo di spingere più in là la curva della supercompensazione, nella certezza che è la gestione dei momenti difficili (limite) il segreto del successo.

Ed è questo limite relativo, per cui al di là di un limite c’è sempre un altro limite, quello che rappresenta l’obiettivo della fatica quotidiana di atleti e allenatori, poco inclini a considerazioni sul LIMITE ASSOLUTO, concetto che non frequentano perché lontano e astratto.

E, al contrario, è il (concetto di) LIMITE ASSOLUTO (tutto maiuscolo) di Limite Invalicabile della capacità umana quello che appassiona gli intellettuali dello sport, gli scienziati, i retori, gli esteti, che amano misurarsi con quello che va al di là dell’immaginato, che varca le colonne d’Ercole, che permette loro di interrogarsi sull’umano inumano o sui limiti assoluti dell’umanità tutta. E così, in occasione del doppio record di Usain Bolt, ancora una volta ci si è interrogati se esista un tempo al di sotto del quale non è umanamente possibile scendere. Il professor Enrico di Prampero, biomedico e docente di fisiologia umana all’Università degli Studi di Udine, ha sostenuto che siamo ormai vicini al limite fisiologico dell’uomo e che i margini di miglioramento sono assai ridotti. Ha anche predetto che tra il 2187 e il 2254 il velocista più forte correrà i 100 mt in 9′”15 ad una velocità media di 39,344 km/h…. Altri studi hanno sostenuto che i record maschili raggiungeranno il picco teorico tra il 2020 e il 2060; altri ancora che, comunque, le prestazioni non miglioreranno più dell’1/3%… Insomma: ci garantiscono che Achille raggiungerà la tartaruga.

E tutti questi, retori e scienziati, un po’ schivi della praticaccia sportiva quotidiana dimenticano che il limite assoluto, in altro senso (tutto minuscolo), è frequentazione abituale di ogni atleta, anche il più modesto: nell’avversario imbattibile per qualità e risorse, nella personale barriera prestativa insuperabile, nell’apice di una carriera cui seguirà un inevitabile declino. E dimenticano che è tutto il movimento sportivo, fatto di tutti i singoli atleti nella loro fatica quotidiana, a spostare più in là il limite assoluto, a relativizzarlo costantemente, attraverso allenamenti più duri, più sofisticati, più scientificamente elaborati, attraverso tecnologie più avanzate, costumi idroscivolanti, corsie frangiflutti, piste rimbalzanti, e – come no ? – anche attraverso l’uso illecito della chimica, l’abuso dei medicinali, le diete ipo o iper… Così retori e scienziati, persi nell’affascinante astrazione dell’assoluto, non colgono che la verità è l’inseguimento, la corsa e non il traguardo.

In realtà, lontani dal limite assoluto, l’atleta e il tecnico sono circondati da tanti limiti come i limiti psicologici che non consentono quel complesso equilibrio tra prudenza e temerarietà, tra umiltà e baldanza, che si pone quale nascosta base di un positivo atteggiamento agonistico.

Tanti limiti si diceva.

Il limite entra, infatti, nella pratica quotidiana dell’allenamento anche come rispetto dei tempi di recupero necessari, come somministrazione di carichi di lavoro tollerabili, allontanandosi da quella convinzione del “sempre di più sempre meglio”, da quella spinta a volumi di lavoro sempre crescenti, vera base ideologica alla pratica dopante e avviando, invece, una costruzione dell’allenamento conscio del fatto che per superare dei limiti bisogna assegnarsi dei limiti, costruendo un processo allenante più ricco di mezzi, più consapevole, più qualitativo.

Il limite entra ancora nell’uso della tattica quale mascheramento o quale sfruttamento dei limiti prestativi di un atleta o di una squadra: il fondista privo di scatto costretto a una gara di testa dal ritmo alto e regolare… la squadra lenta e tecnica che esaspera il possesso di palla per tenere basso il ritmo partita…, il giocatore bello e bravo, ma psicologicamente fragile, insultato, provocato per determinarne il nervosismo così da indebolirne la cifra tecnica.

Il limite entra poi nello sport come limite sociale di uno sport aperto solo a chi risolve il problema della sopravvivenza (l’altroieri), dell’organizzazione statale e universitaria (ieri), o dello sponsor (oggi)… Non tutti se lo possono permettere non tutti hanno potuto: si possono fare molte cose “per sport”, non lo sport.

E, infine, inseguendo i retori verso l’Assoluto da modesti travet di bordovasca, il (concetto di) limite entra nello sport come confine della condizione umana limitata a fronte dell’onnipotenza divina. Bubka che vola, Bolt che corre, Maradona che dribbla, sono “divini”, avvicinano noi poveri limitati umani agli dei che tutto possono e le immagini delle loro imprese rimangono indelebili, al di là di loro, al di là del tempo che fugge, superando per l’istante di un’illusione il limite dei limiti, quello sì purtroppo sempre raggiunto, e rendendoci (limitatamente) immortali.

Claudio Mistrangelo

(Nella foto Usain Bolt vincitore della Finale dei 100 mt alle Olimpiadi di Londra 2012).

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