Gioco a emme e poca qualità
Da tempo nei nostri campionati, e certamente in misura maggiore dall’A2 a scendere e nei settori giovanili, la scelta di dedicarsi alla tattica di squadra prevale su quella delle tecnica e della tattica individuali. Molto grave in ambito giovanile, e altrettanto grave se si ritiene, come avviene, che tanto la A2 che la B siano palestre determinanti per quella fascia di età (16-18 anni) avviata alla definitiva maturazione ed al salto definitivo nella massima serie, magari anche con club diversi da quelli con cui giocano.
Tutto, ovviamente, se lo si guarda nell’ottica del miglioramento qualitativo del movimento di base. Ilisultato Risultato è che, tranne rarissime eccezioni legate alle squadre che affrontano le coppe europee (in Italia sempre più ripudiate per scelta “economica”), la gran parte dei nostri giocatori finisce per non avere i requisiti essenziali per competere ad altissimo livello, specialmente in quei ruoli chiave che vengono penalizzati dalle scelte tattiche di cui sopra. Basta dare uno sguardo a ciò che si è prodotto negli ultimi 15 anni nei ruoli di difensori e centroboa per comprendere la dimensione del problema.
Questo costringe anche i nostri allenatori delle squadre nazionali a fare gli straordinari, lavorando anche ai massimi livelli sulla ripetizione ela correzione della tecnica individuale (come i rimandati a settembre di un tempo) o costringendoli a trovare soluzioni tattiche finalizzate non solo ad esaltare (come è giusto che sia) le caratteristiche dei giocatori a disposizione, ma anche, e sempre più spesso, per nascondere le lacune di base.
La scelta di anteporre gli aspetti tattici alla qualità tecnica degli uomini di cui si dispone, e di preferire lavorare su questo trova la sua risposta in varie motivazioni:
1) Pochi spazi e tempi a disposizione per lavorare nelle maniera giusta nell’età giusta. L’insegnamento della tattica precoce (spesso anche approssimativa), infatti, richiede meno lavoro e in tempi più brevi consente di ottenere risultati, anche se effimeri e di relativa importanza in senso assoluto (trofeo del giocatore?)
2) poca disponibilità di tecnici e società ad attendere il completamento di alcuni percorsi di maturazione preferendo risultati a scadenza breve; i primi per tutelare se stessi o suffragare le proprie ambizioni represse, le seconde per non si capisce bene che cosa.
3) incapacità di comprendere la differenza che passa tra formare giocatori e costruire una squadra con una sua fisionomia di gioco che ne esalti le qualità e affidarsi ad un sistema di gioco che, invece, sfrutti le altrui incapacità anziché le proprie qualità. Mi preme aggiungere che, anche se in minima parte, ci sono delle eccezioni.
La più devastante delle motivazioni che, o almeno quella che personalmente intravedo, è la terza, perché innesca un meccanismo a dir poco perverso. Vengo ad un esempio pratico. La squadra avversaria applica la difesa a zona detta M (emme). Ovvero sistema un difensore davanti al centroboa (oltre quello che lo marca da dietro) e due esterni in mezzo a disturbare e marcare tre giocatori. Scopo impedire che il centroboa riceva palloni e possa conquistare espulsione o fare gol. Ulteriore scopo è quello di portare un contropiede sulla prima linea in caso di tiro avventato o impreciso di uno dei giocatori esterni avversari, e ottenere una marcatura di semplice esecuzione.
Consideriamo solo il primo scopo. Un sistema di gioco del genere se impostato come sistema difensivo base di una squadra, svilisce di importanza e modifica radicalmente l’impostazione tecnica del difensore centrale, che avrà il solo scopo di aiutare il portiere con un braccio in caso di tiro sugli esterni, ed effettuare piccolissimi spostamenti del corpo per seguire la linea di volo del pallone. Nessun duello, dunque col centroboa o in ogni caso ridottissimo nei tempi.
Logica vorrebbe che chi si trova di fronte una squadra che difende in questa maniera reagisca con l’uso dei fondamentali di base: palleggio veloce e ben eseguito, piccolissimi spostamenti e tiri precisi. Ma, e chi conosce il nostro gioco lo sa bene, è rischioso, molto rischioso; specie da quando non esiste più il corner sulla deviazione del difensore. Basta un tiro impreciso, un passaggio leggermente più corto e c’è il rischio di subire un contropiede che non nasce dalla velocità o la scelta di tempo dell’avversario, ma dal vantaggio che scaturisce dalla sua posizione in acqua.
Allora come si comporta la squadra che si trova a dover affrontare situazioni del genere sempre più diffuse? Comincia a lavorare su “tagli nuotati” per spostare gli uomini che stanno in mezzo e/o che raddoppiano sul centroboa, reagendo in orizzontale ad una situazione che andrebbe affrontata in verticale, allo scopo di liberare degli spazi per servire palla o concludere. E dato, poi, che “ccà nisciun o è fesso”, per non subire soltanto comincia a sua volta ad applicare lo stesso sistema difensivo.
Ed è qui che si innesca il meccanismo perverso: per non morire di “emme” ognuno la propone a sua volta! Difensori centrali e centroboa cominciano, in allenamento quanto in partite ufficiali, a perdere di importanza nell’ambito del gioco; i secondi vedono pochi palloni, i primi si scaricano delle responsabilità. L’opposto esatto di quanto avviene ai massimi livelli. Diminuiscono le sedute particolareggiate e fondamentali nella costruzione di un pallanuotista sul palleggio, la finta, gli spostamenti delle gambe e il tiro nelle sue più svariate forme ed accezioni, a vantaggio di esercitazioni di tagli verticali, diagonali orizzontali etc. per liberare spazi. Poco lavoro sui duelli centroboa-difensore (a che serve?), sulla tecnica del tiro spalle alla porta, sui tiri rapidi negli spazi stretti, sui modi di liberarsi, sulla maniera di anticipare sui contrasti etc… Tutte cose che finiscono per avere meno importanza rispetto ai tagli orizzontali etc che sopra ho appena menzionato.
Ma se ad altissimo livello, forse, questa soluzione di gioco può anche avere una sua occasionale valenza, a livello giovanile e in fase di costruzione e di definitiva consacrazione di un giocatore a livello assoluto è davvero devastante, soprattutto per gli effetti che produce sulla qualità del prodotto tecnico nazionale. Forse è il caso di rifletterci sopra.
Una ulteriore e personale considerazione
Fatte però queste valutazioni, c’è da aggiungere dell’altro. Quelli che conoscono il nostro sport, specie gli addetti ai lavori, sanno quali tempi e quali spazi occorrono per costruire un sistema di allenamento che abbia un senso, specie se un’attività la si svolge con desiderio di crescita e miglioramento e non semplicemente per vivacchiare. Mettendo da parte la massima serie e tutta l’attività giovanile su cui andrebbe aperto un capitolo a parte, ma che non si discosta poi di tanto da quanto segue, prendiamo per un attimo in considerazione la sola serie A2, oggi considerata la categoria dove la maggior parte degli atleti interessanti tra i 16 e i 18 anni esplicano una parte importante della loro maturazione. Ebbene questa categoria offre nel nostro paese, in media, queste opportunità settimanali di allenamento:
Lunedì: 1 h di palestra + 1,30h di acqua tra corsie e mezzo campo con 1 porta.
Martedì: 1,30 h di acqua di cui 1 h da dividere con altra squadra.
Mercoledì: 1 h di palestra + 1,30h di acqua tra corsie e mezzo campo con 1 porta.
Giovedì: 1,30 h di acqua di cui 1 h da dividere con altra squadra.
Venerdì: 1,30 h di acqua di cui 1 h da dividere in mezzo campo con altra squadra.
Anche se esiste qualche eccezione che riesce a reperire un pizzico di spazio in più, credo di aver esagerato per eccesso e non per difetto.
In questa situazione sopraesposta, escludendo il lavoro a secco, vorrei comprendere come è possibile – in 7,30 ore di acqua settimanali, di cui una discreta parte in corsia, poi in mezzi campi e quasi mai con 2 porte a disposizione – allenare nella misura di cui necessita un pallanuotista nelle sua definitiva fase di sviluppo:
1) capacità aerobica, consumo max di ossigeno, velocità etc anche usando esclusivamente lavoro specifico e non di nuoto puro
2) tutto ciò che è tecnica e tattica individuale, ivi compreso palleggi, tiri da fermo, in movimento etc
3) organizzazione del gioco di difesa e di attacco a uomini pari e in superiorità/inferiorità numerica
4) gioco
Di fronte a questi dati di fatto, probabilmente, il gioco a emme è l’unica soluzione… ma che pallanuoto è? E, soprattutto, dove andiamo?
Bruno Cufino
By mcorcione, 4 marzo 2013 @ 20:07
L’articolo di Bruno Cufino è in pagina da circa sei ore e non c’è ancora alcun commento. Non aggiungo altro.
Anzi, lo aggiungo: se invece di criticare l’abuso della “emme”, Cufino avesse criticato gli arbitri, i commenti sarebbero arrivati a fiumi.
MARIO CORCIONE
By Fabio Puzzanghera, 4 marzo 2013 @ 22:16
Personalmente ritengo che “non sia” un così grave problema la M o non M.
Secondo è lì che si vede quanto è bravo l’allenatore ad insegnare la tattica e quanto sono bravi i giocatori a capire come aggredire la M e come difendersi.
Purtroppo la M si aggredisce o con un taglio da 3, o con delle entrate o con dei blocchi.
Secondo me la M è la “Prova” per capire se i giocatori delle cat giovanili e non solo, stanno maturando o meno.
Sulla parte concernente i lavori vari, lì dipende sì dagli spazi acqua ma anche da questione economica (visto che si pagano) dalla disponibilità (magari ci sono poche piscine e tante squadre).
By Fabio Puzzanghera, 4 marzo 2013 @ 22:21
Penso anche, come ovvio che sia, che a volte quando non si ha il marcatore di ruolo o il difensore sia in difficoltà, si chiami la M apposta.
Allora il punto che pongo è: o diventiamo tutti capaci a marcare il centro oppure la mettiamo sul contropiede, quindi prima la M e poi si fa il contropiede, facendo così una gara di nuoto.
Noto spesso, come in moltissime partite si giochi la palla solo tra 4,3 e 2….
Ma i blocchi? 1-2 e 5-4?
Secondo me è solo una questione di lucidità,concentrazione e scelta tattica.
By Susi Q, 4 marzo 2013 @ 22:33
Apro immeritatamente questo dibattito non avendo il curriculum che meriterebbe questo confronto stuzzicata dalle giuste parole di Corcione. Vedo pallanuoto dagli anni ’70 e credo che ora sia più atletica e meno tecnica, più tattica e meno spettacolare. Senza dilungarmi sui perchè si sia evoluta in questo modo, vorrei commentare i punti di Cufino: 1) nonostante i ragazzi inizino prima a giocare a pallanuoto rispetto a 20 anni fa sono culturalmente meno inclini al sacrificio e gli allenatori spesso sono ostaggi degli innumerevoli impegni che anche un bambino di 7 anni ha durante la settimana e deve mediare con una folla di genitori molto protettivi e ignoranti di sport. In questo senso possono essere utili i risultati: vincere o essere tra i primi dà potere contrattuale.
2) non credo che sia “carino” parlare di ambizioni represse degli addetti ai lavori: molti lavorano nell’ombra, senza riconoscimenti, con passione e professionalità in regioni non necessariamente vincenti che poi risultano avere il maggior numero di tesserati. In questo senso gli innumerevoli tornei di inizio e fine stagione che organizzano Società non blasonate è un chiaro sintomo della volontà di sprovincializzarsi.
3) il modello squadra completa è un concetto ormai presente in tutte le categorie, gli atleti hanno nel loro DNA la posizione di gioco con relativa predisposizione tecnica. Ci sono giocatori che sono interscambiabili e completi e si chiamano campioni. Per meglio rappresentare questo concetto voglio citare un tecnico slavo che ha detto “Orso dietro, orso davanti e tutto intorno zanzare”. Il nostro mondiale e argento olimpico ne è un esempio. Il buco generazionale formatosi anche per responsabilità di chi negli ultimi 20 ha fatto pallanuoto è evidente, e Campagna ha dovuto pescare fuori dall’Italia per colmare i buchi esaltando al massimo la tatticità delle sue partite. I giovani dell’under 18, ma anche dell’under 16 sono già un esempio di un lavoro fatto da giovani allenatori capaci, orizzonti più ampi e ovviamente anche un pizzico di fortuna. Nelle categorie giovanili la zona emme non è così presente, anzi il pressing per anticipare l’avversario è il più usato. Nelle categorie assolute la variabilità degli schemi è anche dettato da quelle esigenze tattiche che forse non rendono questo sport televisivo, ma che sono sintomo di uno studio accurato. Non sono d’accordo come concetto generale che un giovanissimo di 16 anni militi stabilmente in categoria senior. Forse è prorio questo che comprime le possibilità di apprendimento tecnico, visto che con i senior si lavora molto di tattica. Durante una piacevole intervista concessami da Amedeo Pomilio, discorrendo sulla trasformazione che ha avuto la pallanuoto, maggior atleticità e fisicità, alla domanda “Quale è in sostanza il criterio di selezione finale?” La risposta è che l’importante è saper giocare a pallanuoto. Visto che siamo campioni del mondo con i suoi under 18, bisogna fare una considerazione: se questi sanno giocare a pallanuoto, siamo i migliori a giocare a pallanuoto. Studio e programmazione sono fondamentali, ma teorizzare con orologio e cronometro gli allenamenti non ha un valore assoluto. Forse alla luce degli ultimi positivi risultati internazionali, bisognerebbe aprire dei tavoli di lavoro, dove poter strutturare stage con gli allenatori di oggi per avere continuità domani. Il rischio vero non credo modestamente che sia l’uso delle lettere nella pallanuoto, ma l’incapacità di questo attuale movimento di garantire continuità. L’attuale staff tecnico ha strutturato il sistema pallanuoto in modo che possa sopravvivere anche a se stesso? Esiste un programma che vada oltre i tre anni che ci separano dalle olimpiadi? Sarebbe interessante una risposta dei vertici. Scusando le digressioni umilmente Susi Q
By Gianni Simonelli, 4 marzo 2013 @ 22:48
Qualche volta ho provato a proporre la mia esperienza in altri sport, la pallacanestro proponeva, ed in NBA ancora lo fa, il divieto di giocare a zona; la risposta che ricevo sempre è: è difficile per gli arbitri fare queste valutazioni.
Alcuni sport, nelle categorie giovanili, obbligano, con diverse formule, a schierare tutti gli atleti; anche qui sono sommerso di obiezioni … e si continua a criticare, senza proporre
By Matteo Greco, 4 marzo 2013 @ 22:50
Per quello che è la mia esperienza e rispondendo punto per punto:
1- negli spazi ridotti la cosa che meno si può insegnare è la tattica di squadra e in particolare la zona emme che va automatizzata e quindi provata e riprovata.
2- mi sembra che a livello giovanile le Società che primeggiano siano sempre le medesime ogni anno e gli allenatori che le guidano più che da ambizioni represse sono caratterizzati da un’ottima professionalità.
E’ chiaro che non tutti sono Cavallini o Tafuro, ma non si può ritrovare le stesse capacità in tutti i tecnici italiani. In tutti gli ambienti c’è chi lavora e chi lavora meglio.
3- Non ho capito bene gli ambiti a cui Bruno si riferisce in quanto all’inizio dell’articolo parla di A2 e B e poi solo di giovanili. Se si parla di livello assoluto credo che preparare una partita anche sui limiti degli avversari sia una qualità positiva di un allenatore. Se si parla di giovanili in effetti l’acquisizione delle abilità tecniche nell’uno contro uno sia in difesa che in attacco, è da anteporre alla tattica di squadra, ma onestamente quando ho avuto occasione di confrontarmi anche con squadre di prima fascia, ho visto pressing, tentativi di anticipo e pochissima zona. Emme mai. Cordialmente Matteo Greco
By , 4 marzo 2013 @ 23:21
Condivido in pieno l’analisi di Bruno. Soprattutto a livello giovanile, applicando questo modulo, non consenti la crescita e la formazione di un atleta.
By idea, 4 marzo 2013 @ 23:26
Corcione ha perfettamente ragione…
Riguardo l’articolo di Cufino, condivido tutto ciò che afferma.
Se veramente sono quelli gli spazi a disposizione mediamente in A2, figurarsi quelli nelle serie minori o per i settori giovanili, dove appunto troppo spesso si prende la “scorciatoia” di dedicare più spazio alla tattica che alla tecnica perchè a nessuno piace perdere le partite a qualunque livello: allenatori, atleti grandi e piccoli e dirigenti delle società.
By lettore, 5 marzo 2013 @ 00:13
Dai Mario, non ti arrabbiare. Vedrai che qualcuno commenterà.
By Luca Bittarello, 5 marzo 2013 @ 00:25
Mi rincuora molto questo articolo. Alleno una squadra U 13 in Liguria con spazi che rasentano l’insufficenza. La domenica mi trovo spesso a confrontarmi con squadre che mi sembrano fin troppo preparate tatticamente, vedo rientri ben fatti con cambi di marcatura eseguiti perfettamente, mettendo spesso i miei ragazzini in difficoltà. Dentro di me poi penso: sono io che dedico troppo poco tempo a spiegare la tattica di squadra? Oppure ne dedico troppo a spiegare come aggredire gli spazi vuoti senza palla, come fare un’entrata per liberarsi dalla marcatura, piuttosto che le modalità di tiro da eseguire se si è orizzontali o verticali?
I risultati in cuor mio, non mi danno ragione, perchè vedo che squadre magari tecnicamente inferiori, ben si difendono con improcci tattici ben definiti, magari aiutati da una preparazione atletica ad hoc( e per questa categoria si potrebbe aprire un altro capitolo da aprire su quanto tempo si dedichi alla preparazione fisica piuttosto che al palleggio). Tuttavia vado per la mia strada, pensando che in questa categoria (U13) si debba imparare prima di tutto l’uno contro uno, lo smarcamento, entrate, pendoli, per non parlare dell’aspetto tecnico, di vitale importanza.
By furio ferri, 5 marzo 2013 @ 09:11
Ho sempre pensato che nelle varie categorie dei settori giovanili si debba insegnare la pallanuto ai ragazzi; insegnare tutti i fondamentali personali e tutti i fondamentali di squadra, cosa che ho sempre fatto quando ne ho avuto l’opportunità.
Il risultato, la vittoria in questa fase, per me, sono secondari, se poi vengono meglio ma non devono essere lo scopo principale.
Purtroppo invece vedo ragazzini U13 U15 nuotare con la maglia, fare le gambe con la palla medica…..provare solo schemi, ripeto e i fondamentali?
…mahh!!!
By Lallino, 5 marzo 2013 @ 09:47
Sarò ripetitivo ma con il “nuovo” regolamento dei trenta secondi d’attacco e il corner solo quando a deviare è il portiere l’aspetto atletico-natatorio è diventato preponderante. Le squadre devono essere rapidissime ad andare in attacco e altrettanto per andare in difesa. Questo comporta il dover incentrare gli allenamenti soprattutto sul nuoto a discapito della tecnica.
Anche difensivamente meglio fare una zona con tante braccia alzate che non causeranno corner a seguito di deviazione che rischiare di giocare uno contro uno.
La emme non è la causa ma bensì l’effetto delle lacune tecniche dei giocatori dovute al fatto che ormai l’importante è andare avanti e indietro come pazzi.
Quando sento che per migliorare la pallanuoto bisogna fare regole che la rendano più spettacolare rabbrividisco visti gli esiti degli ultimi tentativi.
By Massimiliano Scottà, 5 marzo 2013 @ 10:04
Manca il supporto economico per sostenere qualsiasi buon progetto… E’ giunto il momento di concentrarsi sulla promozione della pallanuoto. Sono convinto che tutto possa ripartire da li… Creiamo un gruppo di lavoro fatto di esperti: giocatori, allenatori, dirigenti, uomini di marketing e comunicazione, gestori di piscine, etc. e prepariamo un documento da sottoporre all’attenzione della FIN, delle Società, degli Sponsor. Al più presto!
By missile, 5 marzo 2013 @ 10:23
Analisi condivisibile al 100%! Quando hai una sola porta a disposizione e tutta una squadra che deve tirare allora si preferisce provare soluzioni statiche tipo M anzichè altro. Penso anche che noi allenatori dovremmo imparare a convivere con i pochi spazi ed il poco tempo a disposizione facendo al meglio ciò che è più importante e dovremmo capire bene quali sono le priorità.
By mcorcione, 5 marzo 2013 @ 10:44
RICEVIAMO VIA MAIL E PUBBLICHIAMO
Innanzitutto mi complimento con Bruno Cufino per l’articolo. Fatta questa premessa, aggiungo che la settimana scorsa ho visto una partita di serie A e ho domandato ad un atleta quanti schemi avessero con l’uomo in più; mi ha risposto “dieci schemi”. La risultanza sapete quale è stata? Durante il palleggio di questa squadra in superiorità numerica il pallone è caduto varie volte dalla mano dei giocatori. Morale: gli allenatori possono fare tutti gli schemi e le tattiche che vogliono, ma se manca la tecnica, che è la base di tutto…
MINO MARSILI
By giacomo pandolfelli, 5 marzo 2013 @ 16:02
ovviamente non posso che essere d’accordo con mino marsili.
dall’articolo di bruno cufino e’ tragica quanto vera soprattutto il poco spazio acqua che hanno gli atleti ora per cui con le assurde regole che ci hanno “appioppato” (30 sec e deviazione)
si assiste dalla b in giu a delle “partite di nuoto”.
comunque se ad un allenatore gli si chiede di vincere , la zona a m e’ la strada piu redditizia quando non si ha tanto spazio acqua, se poi vogliamo parlare di formazione tecnica….