Dove andiamo

Quanto e come rapidamente cambiano le cose della vita!

Riflettevo in questi giorni che, molto spesso, presi dalle nostre cose, dai nostri interessi personali, dalle nostre problematiche  e dalle nostre  passioni, finiamo per non accorgerci di quanto accade intorno a noi, quasi  come se le nostre vite e le nostre occupazioni  scorressero in una bolla di sapone che ci separa dal resto del mondo. Un mondo che sembra quasi non appartenerci,  che  osserviamo da spettatori al cinema, a volte distratti, a volte anche compenetrati  ed emotivamente presi  da  quanto accade nel  film… ma, in ogni caso,  sempre col distacco di chi non è realmente coinvolto  nella vicenda. Distaccati, talvolta, al punto di perdere il senso stesso  delle cose, attribuendo, chiusi in noi stessi, un’importanza vitale ad aspetti, invece, decisamente  secondari dell’esistenza.

Ma non sono qui per fare facili filosofie e, con qualche numero alla mano, mi sento di invitare gli addetti ai lavori, dirigenti di club e federali compresi,  ad una riflessione serena e allo stesso tempo cruda su quanto accade nel ristretto mondo della pallanuoto nazionale in relazione al momento sociopolitico che stiamo vivendo. Ho dato uno sguardo agli anni di nascita dei  143 giocatori che compongono i tredici base di 11 squadre di A/1 della stagione in corso. Ho escluso gli atleti della Pro Recco i quali, per i motivi che in seguito elencherò, esulano dalla riflessione  e dalla considerazione che mi appresto a fare.  Emergono i seguenti dati:

19 hanno superato i 35 anni (13,28%)

24 hanno superato i 30 anni  (16,78%)

29 hanno superato i 26 anni  (20,27%)

66 hanno superato i 18 anni  (46,15%)

5 hanno meno di 18 anni (3,49%).

Chi, a tempo perso, volesse dare uno sguardo ai dati presenti sul link che segue, forse anticiperà il contenuto del mio ragionamento.

Va tenuto in considerazione anche che i dati riportati sono del 2009, e tutti sappiamo quanto negli ultimi 3 anni le cose sono cambiate in peggio.

Per anni il club della massima serie, e per essi gli allenatori (me compreso), non solo non possedendo una struttura organizzativa di tipo professionistico, per quanto non avendone lo status (la pallanuoto è sport ufficialmente dilettantistico), hanno chiesto, e chiedono tuttora, impegni di tipo professionistico ai propri atleti. Non c’è bisogno di essere addetti ai lavori per essere a conoscenza  che, oltre agli allenamenti quotidiani spesso doppi, oltre agli impegni agonistici sempre più frequentemente bisettimanali, oltre a trasferte di più giorni in caso di coppe europee o altre manifestazioni, la pallanuoto ha richiesto e richiede, per sua stessa essenza, un impegno gravoso sul piano temporale, oltre che fisico e mentale.  Ciò finisce col condizionare la vita stessa di chi lo pratica, riducendo, vuoi per gli orari che impone, vuoi per la mobilità che richiede, vuoi per la stanchezza che produce, in maniera notevolissima la possibilità di dedicarsi ad altro… studio, lavoro e, più concretamente forse, la ricerca di lavoro. Ci sono stati anni in cui i budget dei club di massima serie (a volte anche di club di A/2…), ora giocoforza in parte ridotti, hanno raggiunto livelli di aziende importanti, ma senza avere alle spalle assolutamente nulla di solido o di sostanziale. Una situazione di cui, nell’immediato e senza tener conto di alcun tipo di progettualità e lungimiranza, hanno beneficiato tutti, vuoi per una ragione vuoi per un’altra.  E, a rischio di impopolarità, sottolineo anche che sarebbe il caso di evitare lamentele e vittimismi sia di dirigenti sia di associazioni di categoria mal rappresentate, perché tutto l’ambiente ha vissuto e, per buona parte, vive tuttora nettamente al di sopra delle reali possibilità.

Siamo giunti ora, però, con la complicità di una crisi senza precedenti, quasi ad un punto di non ritorno. Le difficoltà dei club, anche di quelli di grandissima tradizione, sono sotto gli occhi di tutti.

Dapprima i già rarissimi sponsors sono definitivamente scomparsi, poi  sono finite le elargizioni degli enti pubblici, poi i mecenatismi, poi la produttività degli impianti con la caduta delle iscrizioni ai corsi, poi la povertà di idee e di iniziativa, ed ecco che, insieme all’ostinata volontà di non voler provare a invertire la tendenza suicida rivolta al mercato e non alla produzione, complice il dilettantismo non solo di fatto ma anche culturale di molti responsabili dei club, il nostro sport appare ed è in caduta libera. E non ingannino certi risultati, perché chi vive il nostro mondo sa perfettamente che i successi  delle nostre squadre nazionali sono il frutto della grande capacità di programmazione degli staff, coadiuvati dalla fiducia e dal sostegno a loro concessi dalle strutture federali.

E’ da tempo, me ne si darà atto, che dalle pagine di questo sito ho sollevato il problema della necessità di invertire quella tendenza suicida dei club che persistono  nella ricerca di rafforzarsi  attraverso una politica da me definita “del mercato” per  indirizzare, invece, le esigue risorse in un meccanismo di crescita e diproduzione tecnica.  Ma oggi, purtroppo, la necessità  non è più solo  quella di risolvere gli aspetti sportivi legati alla pallanuoto, o al tentativo di interrompere  la sistematicità con cui anno dopo anno squadre vengono meno e rinunciano ai campionati, o di fermare la grande mole di inadempienze o di acquisizione di debiti. Oggi il problema è ben più grave ed è anche di natura morale!

Ci stiamo, infatti, chiedendo: è lecito, a fronte di una progettualità che non esiste,  a fronte della rincorsa di risultati che non verranno, contribuire in maniera delittuosa ad alimentare disagio e disadattamento, forse addirittura futura povertà, in tanti ragazzi che praticano il nostro sport, contravvenendo le regole morali di cui, invece, dovremmo farci portavoci? Ci stiamo chiedendo: escludendo il  ristrettissimo gruppo di atleti che gravitano nell’orbita del club più ricco al mondo (Pro Recco) per cui, forse, può valerne anche la pena, posto abbiano la capacità di militarvi per un buon numero di anni, cosa sarà del futuro dei nostri atleti?

Poco sopra ho riportato delle cifre.  La disoccupazione giovanile nel nostro paese, oggi,  non solo è alle stelle (31,1%), ma appare sempre più lontano nel tempo la possibilità dell’inserimento nel mercato del lavoro di tutte le generazioni  future. Realtà, quest’ultima, molto più che preoccupante, non solo da non poter  ignorare, ma di cui assolutamente non  si possono affatto sottovalutare i potenziali  effetti postumi. Quanti, con l’impegno che la pallanuoto richiede, di quel 46,15% di giocatori  tra i 18 ed 26 anni sono in grado di terminare nei tempi regolari il corso di laurea in cui sono impegnati? Oppure  quanti di essi saranno in condizione, contemporaneamente alla militanza sportiva, di svolgere una qualsiasi altra attività finalizzata alla ricerca di un’occupazione post sport?  E quanti, ancora,  di quel 20,27% tra i 26 e i 29 anni possono, invece, riuscirvi dopo, in un’età  in cui senza laurea addirittura si viene definiti  come  “sfigati” dai ministri della Repubblica?

Vogliamo, poi, parlare di cosa sarà del  16,78% di pallanuotisti che hanno già superato i 30 anni o addirittura di quel 13,28% che ha superato i 35, molti dei quali hanno già anche figli? Abbiamo mai provato ad immaginare cosa significherà per loro un giorno lontano accedere ad una pensione? E di queste cose se ne sono mai occupati seriamente anche gli stessi interessati e le associazioni (se esistono davvero…) che dovrebbero  rappresentarli?

La risposta è: non ci siamo mai posti realmente il problema! Tra questi, probabilmente, ci sarà anche chi proviene da famiglia agiata e che potrà aiutarlo, o qualcuno che si è mosso per tempo per pensare al poi… ma gli altri? I tanti, tantissimi altri? E quelli che ancora verranno?

Certamente si potrebbe obiettare che non è un compito nostro, bensì  dei diretti interessati.  Ma, oltre ad investire problematiche di natura morale a cui non possiamo sottrarci, pur volendo rimanere esclusivamente in un ambito tecnico, è  evidente che il nostro sport, così come strutturato, così’come concepito non può andare avanti. Oggi penso che non esista un solo club nel paese, un solo presidente disposto a giurare ed impegnare qualcosa sulla certezza del prosieguo delle proprie attività da qui ad un quinquennio. Il rischio serio, molto meno lontano di quel che si vuol pensare, è che possa davvero fare fallimento, travolto da una crisi più grande e a cui non ha saputo far fronte  per tempo con misure adeguate,  e soprattutto portando  sulla coscienza disagi, disadattamenti  ed altro… tanto altro.

Ma ciò che lascia sconcertati è che nel frattempo, a leggere le opinioni di tanti che anche scrivono e dibattono su questo sito, si pensa  che i veri problemi della pallanuoto siano ben altri. Si pensa ai led luminosi, all’incapacità di operare  come il rugby, ai contratti da rispettare, ai colpi ricevuti durante una partita, alle incapacità arbitrali, alle piscine male addobbate, alle formule di campionato, agli stranieri, alla pallanuoto giocata d’inverno o d’estate  etc, etc. Nessuno, penso, possa ritenere che siano aspetti non importanti, ma, e qui devo necessariamente essere polemico, è mai possibile che sono gli unici che giustifichino un intervento, un dibattito, un commento? Possibile che non si prova ad uscire da una mentalità da rotocalco che non si sappia andare alla fonte dei problemi? Possibile che non si esca da una sorta di corporativismo  che non vuole che il problema  sia affrontato nella sua interezza?

Oggi la pallanuoto rischia il tracollo, molti club sono alla frutta, il futuro dei nostri atleti, una volta chiusa la carriera, ha orizzonti oscuri e incerti eppure della necessità di invertire le tendenze nessuno parla. Inquinati dall’incultura di stampo calcistico, si rifiutano le analisi concrete, ci si distacca dalla realtà e aspetti marginali vengono ritenuti e dipinti di fondamentale importanza.

Oggi più che mai la tendenza va invertita, probabilmente anche nella gestione degli aspetti tecnico-sportivi, se non si vuol rischiare un tracollo e si vuol salvaguardare anche la qualità della pallanuoto, oltre che la sua sopravvivenza.  E’ questo il motivo per cui torno ossessivamente a ripetere che  una diversa impostazione dei criteri organizzativi e delle politiche dei club è l’unica soluzione al tracollo verso cui si va incontro, e  non può più prescindere dal legame forte che va creato con i territori in cui operano. Trovare il sistema di sfruttare e valorizzare al massimo le risorse interne è, oggi, una necessità  di importanza vitale, non è più solo una vocazione che sfocia in una  linea operativa.  La pallanuoto deve trovare radici localmente, ovunque c’è attività, e non può essere importata: è un lusso che il movimento non può più permettersi.  Ancora oggi quasi una metà dell’organico di molti club è formata da giocatori che provengono da altre realtà; qui non si tratta di fare una lotta alla mobilità dei giocatori, agli stranieri o ad un  professionismo tra l’altro mai legalmente riconosciuto e quindi a rischio, bensì di ristabilire il principio, che è culturale ma anche pratico, che lo sport si costruisce e non lo si compra, e solo costruendo dalla base e non dal tetto  si dà continuità e stabilità, nel tempo, sia ai club sia ai risultati. E se questo dovesse significare, nell’immediato, la scomparsa di chi non è attrezzato o non è disponibile per questo genere di impostazione, beh, con dispiacere di tutti, ma sarà il caso che ce ne si faccia una ragione… tanto,  allo stato delle cose, sarebbe esclusivamente una questione di tempo, ma il tracollo avverrebbe comunque.

Volendo tornare, in concreto,  sempre in questo quadro e in questa prospettiva, probabilmente un’altra strada da intraprendere è quella di ridiscutere le vecchie e sperimentare nuove strategie, anche relativamente alla preparazione ed alla costruzione degli atleti. Se oggi si vuole salvaguardare il futuro della vita dei nostri pallanuotisti oltre la loro carriera sportiva, e contemporaneamente non togliere qualità al nostro sport, per essere chiari e propositivi,  forse qualcosa va rivisto anche sotto questo aspetto. Provo a spiegarmi meglio.

Se, per esempio, un po’ dovunque si aspetta che gli atleti terminino  gli studi secondari e compiano 18/19 anni per raddoppiare le sedute quotidiane di allenamento, creando così notevoli difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro o nella qualità del prosieguo degli studi,  forse oggi è il momento di apportare delle modifiche ragionate a questo sistema tecnico di operare. Trovare, infatti,  il modo di “anticipare” i tempi, nell’ovvio rispetto delle tappe di crescita fisicadi un atleta, potrebbe essere una strada validamente percorribile. Se, trovando spazi ed orari compatibili, anche se sacrificati (soprattutto per i genitori dediti all’accompagnamento) si riuscisse a raddoppiare  le sedute di allenamento tra i 14 e i 18 anni dedicando grande attenzione ai criteri di formazione riguardanti la tecnica (che è ciò che meglio si apprende in  questa fascia d’età)  probabilmente negli anni seguenti, quando le esigenze della vita extrasportiva  saranno più pressanti, forti delle basi più solide in precedenza acquisite, togliere qualcosa agli allenamenti non porterebbe alcun danno alla qualità.

Si potrebbe obiettare che, anche operando così,  si corre il rischio di un freno allo studio ed alla formazione scolastica. Ma, consentitemi di dissentire, dacchè  limitatamente alla perdita di un anno scolastico a questa età, posto che ciò avvenga, se compensato dall’abitudine al sacrificio che una scelta del genere indubbiamente comporterebbe  ad acquisire, oltre che a non creare danno potrebbe  addirittura rivelarsi salutare. Va da sè che, contemporaneamente, ai massimi livelli, occorre che chi ha nella mani le sorti del nostro sport si faccia portavoce di questa esigenza profonda presso gli organismi internazionali (LEN e FINA), e faccia in modo da ricondurre all’essenziale l’attività internazionale, forti anche del fatto che questa problematica investe tutti i paesi europei e, probabilmente, il mondo.  Anche questo, però, riporta al discorso di fondo dell’inversione di tendenza. Questa ipotetica strada, infatti, potrebbe essere praticabile solo se i club, oggi strutturati per un lavoro finalizzato e impostato diversamente, modificassero linee operative e dedicassero energie e risorse in maniera prioritaria alla produzione ed alla crescita di nuovi e qualificati atleti.

Per concludere, voglio  augurarmi che intorno a quanto ho provato ad evidenziare possa svilupparsi un dibattito serio, costruttivo e portatore di idee, di cui abbiamo bisogno assoluto.  E’ da tempo giunto il momento di guardarci intorno e osservare quanto accade, di non dimenticare che attorno al nostro sport c’è un mondo in evoluzione e del quale  facciamo parte integrante,  e che i momenti difficili, come quelli attuali, vanno affrontati con l’arma in più che lo spirito del nostro sport ci ha inculcato, la determinazione.

Bruno Cufino

***

Riproponiano, sull’argomento, una letera che ci è stata inviata un anno fa dalla sig.ra Alda Di Mauro.

Uno sport di poveri illusi

Sono la mamma di tre ora ex pallanuotisti, che dopo aver giocato nel centro nord nelle giovanili Under 20 hanno preferito dedicarsi agli studi universitari. I loro allenatori li hanno, fino alla data dei rispettivi abbandoni della pallanuoto, invitato a continuare lasciando intravvedere una carriera luminosa nelle categorie maggiori.

Lo sport e specialmente la pallanuoto, disciplina povera di introiti e sponsor, dovrebbero contribuire a formare atleti e uomini, poi capaci di farsi strada un giorno nella vita sociale e lavorativa, pronti a sopportare i sacrifici duri del “quotidiano”anche grazie all’abitudine acquisita nel corso  di anni di allenamenti e campionati  duri,  ma purtroppo al momento non è proprio così.
Il miraggio costituito da qualche decennio da un finto professionismo nel caso del nostro sport (anch’io in gioventù l’ho praticato ed ora lo seguo con passione) ed alcuni, forse troppi, allenatori interessati non alla crescita complessiva dei giovani atleti ad essi affidati ma tesi alla  conservazione di quel migliaio di euro di stipendio mensile, creano  sovente “poveri illusi” e professionisti mancati, che per anni trascurano la scuola e la vita lavorativa e che sui trent’anni vanno ad elemosinare un ingaggio annuo di qualche migliaio di euro, ancora a carico dei genitori  e completamente emarginati dalla vita reale lavorativa.

A mio parere non può coesistere un buon atleta o meglio un campione in un soggetto che trascura gli studi e non impara un mestiere (Francesco Postiglione docet)  e di tali incompiuti, putroppo, ve ne sono tantissimi nella pallanuoto.
A quegli allenatori suggerisco di smetterla di continuare a  torchiare  le olive perché oltre l’olio di sansa c’è poco da premere ma li invito a (ri)trovare il ruolo di educatori che avevano gli allenatori del mio periodo di attività. Gli chiedo: meglio per loro sarebbe, in età matura, avere un manipolo di professionisti, legati a loro umanamente e sentimentalmente,  perché grati degli insegnamenti e consigli  da loro avuti nello sport come nella vita e soddisfatti dei successi nel campo del lavoro, o tanti  soggetti emarginati dalla società, che hanno offerto loro il meglio per la conquista di un titolo o un piazzamento nei tornei nazionali ragazzi o allievi e che, ritrovandosi poi fuori dalla società, nutrono per loro un profondo astio?

“Modus in rebus “ dicevano i Romani che esaltava l’equilibrio negli accadimenti della vita che ora, specialmente nella pallanuoto, non c’è.

Alda Di Mauro

30 commenti

  • By mcorcione, 9 aprile 2012 @ 10:54

    Ringrazio il mio direttore Bruno Cufino per aver introdotto un argomento di grandissima importanza su cui discutere in un dibattito che, spero, sia “frequentato” come quello riguardante l’articolo “L’invidia della palla ovale” del collega Fabrizio Napoli.
    Interessantissima l’analisi statistica fatta da Cufino sull’età degli atleti che attualmente militano in A1. Ho pensato al problema della produzione dei giovani proprio qualche giorno fa in occasione della Final Eight di Coppa Italia: l’organizzazione, di cui ho fatto parte, ha stabilito che il premio per il miglior giovane giocatore del torneo fosse assegnato ai ’91 e seguenti, premio che è andato al posillipino Giuliano Mattiello. Ebbene, prima della votazione della giuria composta esclusivamente dai giornalisti presenti, un collega mi ha detto: “L’età scelta per il giovane giocatore da premiare è troppo alta, quelli del ’91 e del ’92 non possono essere più considerati giovani giocatori!”. Aveva perfettamente ragione, ma se avessimo ristretto la cerchia ai ’93 e seguenti, la rosa dei papabili sarebbe stata di soli 8 atleti: Andrea Fondelli della Pro Recco, Lanzoni, Alessandro Brambilla, Chirico e Ravina del Nervi, Briganti e Renzuto del Posillipo e Nicholas Presciutti del Camogli. Di questi otto non tutti hanno giocato un minutaggio sufficiente per una valutazione e, inoltre, la maggior parte dei giornalisti che ha votato non ha visto le finali dal 5° all’8° posto cui hanno preso parte i quattro giocatori del Nervi e il bianconero Nicholas Presciutti. A conti fatti la scelta si sarebbe ristretta ai soli Renzuto, Briganti e Andrea Fondelli, e avrebbe vinto sicuramente Renzuto perchè gli altri due sono scesi in acqua per un numero di minuti non sufficiente per una valutazione.
    Tornando all’articolo di Cufino, io credo che il problema non sia soltanto quello di produrre un maggior numero di giocatori, ma anche di farli giocare. Non siamo, noi di Wpd, in possesso di statistiche sul minutaggio che gli allenatori concedono ai giovani in campionato, ma di certo (fatta eccezione per squadre come il Nervi che hanno puntato decisamente sulla linea verde) non è sufficiente per garantire la crescita ottimale di questi atleti. A mio avviso non sono sufficienti in tale ottica il doppio tesseramento e l’introduzione del Campionato Nazionale Under 17 (per crescere meglio, i giovani hanno bisogno di giocare al fianco di atleti di grande valore). Forse, se mettessimo dei “paletti” alla Coppa Italia (in acqua, obbligatoriamente, almeno tre Under per tutta la gara) potremmo avere qualche risultato apprezzabile in più.
    Inoltre non sarebbe male se i responsabili dei settori giovanili, a scopo didattico, obbligassero i propri atleti ad assistere alle partite delle squadre maggiori: imparerebbero tantissimo, soprattutto se gli stessi tecnici illustrassero ai giovani giocatori cosa sta accadendo in campo dal punto di vista tattico. La stessa cosa vale per i giovani arbitri. Ebbene, non ho visto nulla di tutto questo alla Scandone nella “tre giorni” di Coppa Italia + Italia-Cina femminile. Ho visto però su questo sito tantissimi commenti di dirigenti e tecnici circa questo o quell’altro arbitraggio, circa il fatto che in una determinata gara siano state assegnate tot superiorità in più alla squadra avversaria. Ovviamente quando il tot è a vantaggio della propria squadra non scrivono mai, l’arbitraggio è sempre ottimo.
    MARIO CORCIONE

  • By franco, 9 aprile 2012 @ 11:11

    …difficile aggiungere altro…magari produrre uno sguardo dal ponte anche verso la A2 da dove vengono scacciati in B giocatori “anziani”, rei di amare la pallanuoto oltremisura.La situazione nel ns paese, se migliorerà, non sarà certo nell’immediato e bastano pochi anni per bruciare una generazione..ribadisco una mia domanda, magari peregrina…è così difficile introdurre dei meccanismi, senz’altro entro certi limiti, ma che portino a depositare contributi figurativi (leggi pensioni) a tutela di questi atleti ? ..diciamo una legge sullo sport (e a sua tutela) più riconoscente verso quel mondo che produce onore alla nazione…saluti

  • By zolezzi, 9 aprile 2012 @ 11:49

    l’articolo del direttore evidenzia un problema di sicuro interesse ma di difficile risoluzione. considerare la pallanuoto come uno sport per pochi purtroppo è necessario, gli stipendi per i giocatori sono molto bassi (fatta eccezione per la menzionata pero recco) e proprio in ragione di questo, compito necessario di indirizzare i giovani atleti spetta ai genitori, ma bisogna quindi fare delle scelte, consci dello status della pallanuoto preferiamo interessarci allo sviluppo di questo sport oppure alla codizione degli atleti sotto pagati?
    tornando ai genitori il loro compito è proprio quello di mostrare la strada giusta ai propri figli, perseguendo il sogno di diventare un giorno giocatori di serie a ma al contempo imponendo con decisione di non tralasciare anzi privilegiare gli studi.
    solo in questo modo puo’ essere possibile garantire un futuro a questi giovani che differentemente rispetto ad altri sport (calcio, pallacanestro etc.), solo se un giorno saranno considerati atleti di primo ordine, potranno almeno in parte avere un futuro gradevole.

  • By Matteo, 9 aprile 2012 @ 17:49

    Signor Corcione non si tratta di tot superiorità a favore o sfavore.. la situazione di alcune partite è stata realmente imbarazzante per la pallanuoto.. ne a favore di una ne dell’altra squadra.. ma a sfavore della pallanuoto stessa. Da semplice appassionato di tale sport mi sono realmente chiesto se quella sera non avrei potuto fare altro, per lo meno ci sarei rimasto meno male per una situazione a dir poco imbarazzante.. io segue questo sport da un po’ di tempo… e veder giocare il secondo portiere (non in porta ma fuori) sinceramente non mi era mai capitato!!!! e inoltre se quelli che hanno arbitrato (ovviamente non tutti) la coppa italia non erano neppure giovani e quindi inesperti c’è proprio da piangere!!!!
    Per quanto riguarda il futuro dei giocatori concordo con zolezzi, è di difficilissima soluzione, in quanto molto spesso il problema c’è anche prima di smettere di giocare. Infatti per i diversi problemi economici in cui versano le società, molto spesso anche il presente dei giocatori può risultare incerto, soprattutto per quei giocatori, in particolare giovani, costretti a spostarsi molto lontano da casa cercando di sopravvivere con uno stipendio che molte volte salta, ritarda o che proprio non arriva.

    RISPONDE MARIO CORCIONE: Sono stato frainteso. Non mi riferivo alla Final Eight di Coppa Italia, dove gli arbitraggi in generale (e in particolare quello di Acquachiara-Camogli) hanno lasciato a desiderare. La mia osservazione riguarda tutto l’arco della stagione, tutte le stagioni. Ovvero, sempre.

  • By p.r., 9 aprile 2012 @ 19:16

    Bravo Bruno bell’articolo. Le tue sono delle sante verità. Il problema principale che tu sottolinei non è però attribuibile solo a noi poveri cristi addetti ai lavori. La ragione va molto più estesa ad una mentalità e cultura organizzativa che in Italia non esiste. Non è possibile che le scuole e gli sport non collaborino per favorire al ragazzo una formazione completa. Professori e allenatori spesso passano a screditarsi a vicenda che tristezza. Ricordo ancora quando venivo penalizzato a scuola sl xkè saltavo qualche sabato per le partite….oppure xkè arrivavo 1 minuto in ritardo all’allenamento dopo una giornata intera di studio. Normale che poi quando la cinghia stringe si debba fare una scelta. Senza uno stipendio, anche misero come 500 al mese, pensare di rubare tempo allo studio per uno sport che ti aiuta zero per la tua progettualita di vita è decisamente difficile. Figuriamoci poi quando si deve costruire una famiglia….Per garantire uno stipendio decente prima di tutto bisogna garantire delle regole che vengano rispettate dei presidenti e poi riprogettare da zero questo sport. Troppo comodo cmq piangere la perdita di sponsor quando non si dichiara il reale incasso dai corsi fatturando appositamente meno per incassare di piu. I presidenti i soldi li hanno, solo che non li vogliono tirare fuori xkè per prima cosa conviene alle loro tasche e poi xkè sanno che nella pallanuoto va cosi da una vita,per cui chi verrebbe a dirti qualcosa?!.

  • By Marco, 10 aprile 2012 @ 01:07

    Senza dubbio l’articolo è prolisso (confesso: mi sono perso !), ma alla fine stringendo le maglie si capisce che: la pallanuoto è un grosso carrozzone, senza capo e coda, dove tutto è improvvisato, ma dove qualcuno con grande maestria trae il suo profitto. E non certamente atleti e tecnici che sono l’anello debole di questa catena. La domanda (penserei d’obbligo) è: chi ci guadagna alla fine dei contri? Perchè se neppure uno ci guadagna, allora il tutto non dovrebbe neppure esistere. O no?

  • By giocatore, 10 aprile 2012 @ 08:05

    Ho letto l’articolo e non condiviso quasi nulla. Consiglierei al vostro direttore di pensare ad altro, perchè alle cose nostre ci pensiamo noi giocatori perchè siamo in condizione di farlo. Nessuno ci deve impedire di contrattare con i club che vogliono le nostre prestazioni alle condizioni che richiediamo, e nessun club deve mettersi nella condizione di non rispettare gli accordi. Ognuno pensasse agli affari propri. Consiglierei anche ai dirigenti di club di fare altrettanto, senza prendere in considerazione proposte e consigli di chi vuole pensare sempre da povero.

  • By Gregorio, 10 aprile 2012 @ 08:46

    Si puo’ o meno condividere il pensiero altrui, ma vorrei dire al BY Giocatore non sarebbe piu’ opportuno e coraggioso presentarsi con un mome??
    Poi al nostro atleta vorrei dire che siamo nella mer…proprio perche’ ognuno pensa al suo orticello, e questo stupendo sport continuando cosi’ non crescera’ mai!!

  • By mcorcione, 10 aprile 2012 @ 09:05

    RISPONDO A GIOCATORE
    Ammesso e non concesso che effettivamente lei sia un giocatore, perchè non c’è la sua firma sul suo messaggio, i fatti purtroppo hanno dimostrato nel tempo (io seguo la pallanuoto dal 1979 come giornalista) che la vostra categoria non è assolutamente capace di gestire il rapporto con le società e con la Federazione. In primo luogo perchè soltanto una minima parte di voi si è iscritta ad un’Associazione Giocatori che, ovviamente, non può certo presentarsi a contrattazioni con Fin e società se non ha l’appoggio di buona parte della categoria. Lo stesso fatto che rarissimamente giocatori firmano i propri interventi su questo sito significa che si ha paura di rappresaglie da parte delle società e della Fin, e quando si ha paura di esprimere le proprie opinioni non si va da nessuna parte.
    MARIO CORCIONE

  • By zolezzi, 10 aprile 2012 @ 09:40

    il problema non si limita alle sueriorita’, agli arbitraggi, alla mancanza di propaganda o all’assenza di professionalita’ in taluni casi, ma tutti questi elementi ed altri ancora compongono il citato carroccione sghembo che solo a pochi e forse anche a giocatore porta giovamento.
    il commento di chi si firma giocatore dimostra come questo sport, sia dilettantistico e portare acqua al proprio piccolo ma redittizio mulino non giova al movimento…parliamo tanto del movimento ma a chi si comporta in questo modo è chiaro che il futuro della pallanuoto non interessa, anzi queste condizioni permettono a pochi di trarre il massimo dal settore se di questo possiamo parlare.
    allora probabilmente è meglio lasciarci alle spalle le domande per far si che almeno qualcuno sprema il limone.

  • By Alberto, 10 aprile 2012 @ 12:17

    Solo una piccola riflessione o meglio una richiesta alle società sui giovani: basta utilizzare la parole “giovani”, “progetto giovani”, “puntiamo sui giovani” per camuffare una profonda crisi economica. Questi sono i mezzi che distruggono categorie intere di giovani che sono niente più che promettenti. Gli si promette chissà cosa, vengono presi e sbattuti come merce all’interno di campionati ben più difficili delle loro reali potenzialità. Un ragazzino non è in grado da un giorno all’altro di sopportare stess fisici, psicologici che la vita e la pallanuoto richiedono. Il risultato è che i ragazzi vengono così bruciati perché, salvo casi particolari, i risultati sportivi sono scadenti la delusione è tanta e i soldi manco a pronunciarli. Questa è la realtà che io in prima persona posso testimoniare. In questo modo i rigazzi si disinnamorano di questo sport.
    La pallanuoto è uno sport per pochi. Come il golf…. con la differenza che è in totale autogestione economica

  • By Carmine, 10 aprile 2012 @ 12:42

    “…si riuscisse a raddoppiare le sedute di allenamento tra i 14 e i 18 anni dedicando grande attenzione ai criteri di formazione riguardanti la tecnica (che è ciò che meglio si apprende in questa fascia d’età) probabilmente negli anni seguenti, quando le esigenze della vita extrasportiva saranno più pressanti, forti delle basi più solide in precedenza acquisite, togliere qualcosa agli allenamenti non porterebbe alcun danno alla qualità.

    Si potrebbe obiettare che, anche operando così, si corre il rischio di un freno allo studio ed alla formazione scolastica. Ma, consentitemi di dissentire, dacchè limitatamente alla perdita di un anno scolastico a questa età, posto che ciò avvenga, se compensato dall’abitudine al sacrificio che una scelta del genere indubbiamente comporterebbe ad acquisire, oltre che a non creare danno potrebbe addirittura rivelarsi salutare”: non me ne voglia il Prof. Cufino, ma questa parte del suo intervento mi sembra gravemente approssimativo: e non è da lui. E’ proprio in quella fase adolescenziale che i ragazzi pongono le basi del loro futuro, e (per i motivi che lui stesso ha nominato) non saranno di certo un “colonello” o una “palombella” fatte a dovere a permettergli, un giorno, di guadagnarsi da vivere (sempre per i motivi da lui esposti). Viceversa, sposo completamente l’intervento, pacato e paterno, del Sig. Zolezzi, in cui invita i genitori a “fare i genitori”, e ai figli a fargli capire l’importanza (vitale) dello sport, inteso come tale, e non come possibilità di guadagno futuro (o pensionistico). Gli articoli hanno sempre lo stesso comune denominatore: PUNTARE SULLE GIOVANILI. Io punterei sui libri invece! …. ma non voglio cambiare il mondo!
    Saluti.

  • By bruno cufino, 10 aprile 2012 @ 15:29

    Chiamato in causa dal sig. Carmine replico. Sono convinto che tra i 14 e i 18 la capacità di conciliare studio ad allenamenti anche impegnativi, ovvero 3 o 4 volte a settimana doppia seduta e ogni qualvolta che c’è la possibilità in periodo di vacanza (compreso quando le scuole sono chiuse)è esclusivamente una questione di organizzazione e volontà. Ovvio che necessita di un contributo notevole delle famiglie e della volontà e passione degli interessati; ma è altrettanto evidente che non deve necessariamente essere per tutti,e questa è una valutazione che devono fare gli allenatori che hanno il diritto-dovere di avere il polso della situazione, relativamente alle capacità sportive e l’impegno scolastico. Lungi da me l’idea di produrre disadattati sociali e foche ignoranti. Concordo, infine, anche io con Zolezzi…la cultura, e non solo quella sportiva, va messa sempre al primo posto; d’altronde se fosse più diffusa non saremmo al punto in cui siamo. Comunque, grazie a tutti per l’attenzione messa nel leggermi

  • By marzia, 10 aprile 2012 @ 17:06

    D’accordissimo col Sig Zolezzi.D’accordo anche con il Sig Alberto.Molti giovani si “usano”per crisi economica e in più con accuse di ingratitudine.La cultura allo sport è un valore aggiunto al processo di maturazione che deve essere insegnata con passione.La severità in vasca deve essere sostenuta dal dialogo,il confronto e anche la discussione fuori.I ns figli passano 5,6 ore a scuola,i ns figli trascorrono 4,5 0re in vasca.

  • By giovanni, 10 aprile 2012 @ 21:10

    credo che un aspetto fondamentale da chiarire sia se la pallanuto possa considerarsi uno sport professionistico. la mia opinione è che al momento, come in passato, non ci sono le condizioni per entrare in tale meccanismo economico. il motivo principale è che i club non hanno alcun modo d’incassare. spettatori paganti? vendita diritti d’immagine? non solo non hanno possibilità di fare profitto ma piuttosto vivono grazie alle coperture finanziarie dei presidenti. i presidenti a loro volta se sono bravi e fortunati hanno un aiuto attraverso degli sponsor. ad ogni modo si è fortunati se a fine anno si arriva a pari. in questo contesto concordo con il prof. Cufino che sostiene l’ambiente sia vissuto e vive al di sopra delle proprie possibilità: atleti, tecnici e i pochi dirigenti “professionisti”. proprio per il fatto che nessun presidente possa assicurare una continuità che vada oltre il quinquiennio sarei seriamente preoccupato se fossi un “professionista del settore”. alla domanda che pone il prof. “è lecito, a fronte di una progettualità che non esiste,  a fronte della rincorsa di risultati che non verranno, contribuire in maniera delittuosa ad alimentare disagio e disadattamento, forse addirittura futura povertà, in tanti ragazzi che praticano il nostro sport, contravvenendo le regole morali di cui, invece, dovremmo farci portavoci?” la mia umile risposta è no! è doveroso da parte dei genitori, dei tecnici e delle società indirizzare i giovani verso lo sport ma il tutto deve anche avere la giusta collocazione. non si può sacrificare l’iter scolastico per seguire falsi miti. parer mio sono dei “buzzurri” anche i giovani di sport ricchi che sacrifichino la scuola a favore del possibile ma improbabile successo sportivo. il sucesso sportivo/economico non giustifica l’ignoranza. un punto è che bravi studenti e contemporanemente bravi atleti esistono: è molto faticoso e difficile ma possibile. altro punto è che gli stessi atleti raggiunta una certa maturità devono anche porsi delle domande su cosa fare da grandi. non sono sicuro che siano risposte che debbano dare federazione o club. trovo ridicolo pensare a soluzioni pensionistiche quando al momento esiste nel paese un problema numericamente rilevante chiamato esodati. concordo nuovamente con il prof. Cufino che una possibile via di fuga sia quella di investire le poche risorse nella costruzione piuttosto che sul’acquisto degli atleti. la “soluzione” però ha delle premesse diverse. preciserei che anche l’attività giovanile ha dei costi di gestione notevoli ( basti pensare alle tasse gara, spazi acqua, trasferte sopratutto per i club delle isole ). prendendo in considerzione una possibile apertura del tesseramento di atleti comunitari il tutto diventa molto inquietante. al di là di ragioni di bilancio penso sia un dovere etico delle società in un contesto non professionistico dare rilevanza al settore giovanile. a loro volta però i giovani atleti dovrebbero dimostrarsi capaci di scalare posizioni con le loro gambe e spalle non per astrusi regolamenti in base all’età. promozioni per legge costano poco e difficilmete valgono di più. riproporzionare il numero e la distribuzione degli allenamenti può essere interessante e discutibile ma a parer mio la premessa dei tecnici in primis dev’esser che studio e/o lavoro vengono prima. il tutto condito da un sano se non indispensabile ridimensionamento economico che non coincida con l’imbruttimento dell’ambiente. concludo dicendo che esiste un probelma di atleti spremuti ed illusi che non è stretamente legato al mondo della pallanuto ma che piuttosto un guaio culturale sviluppato per lo meno a livello nazione.

  • By lucky, 10 aprile 2012 @ 21:27

    come spesso accade nel mondo della pallanuoto ci si ritrova tutti in disaccordo.il fatto e’che non esistono regole e le federazioni non hanno mai avuto alcuna intenzione di trasbordare questo grande sport verso il professionismo.Il punto e’ tutto qui;continueremo ad assistere a continui cambiamenti di personaggi a livello Federale in virtu’del prevalere degli interessi di gruppi di ‘coalizione’ e con essi regolamenti del tutto provvisori ed estemporanei.Per la federazione questo status quo va benissimo finquando questi poveri e bistrattati atleti nonostante tutto riescono,con enormi sacrifici,ad ottenere i risultati che a livello mondiale sono indiscutibilmente ottimi.Naturalmente in questo marasma vengono alla luce inefficenze di Societa’gestite col metodo ‘PADRE PADRONE’con poche idee e nessuna lungimiranza nel valorizzare giocatori che dimostrano talento per ben altri palcoscenici.Di contro alcune grosse Societa’(forse una?!)monopolizzano e fanno incetta dei migliori giocatori meglio pagati,la migliore organizzazione,il miglior peso….in seno alla federazione.questo puo’rientrare nelle regole(ognuno di noi e’ padronissimo di farne cio’che vuole del proprio danaro…..;ce ne fossero tanti di piu’ di questi personaggi benestanti e indubbiamente appassionati di questo splendido sport!!).Con il PROFESSIONISMO arriverebbero Regolamenti Federali estremamente chiari,i vincoli dei giocatori con le societa’ non sarebbero piu’gestiti come una ‘proprieta’sull’atleta’e sopratutto finalmente le stesse Societa’potrebbero beneficiare di attenzioni economiche a livello Ministeriale.Mi piacerebbe finalmente vedere un MOVIMENTO COMPATTO di Protesta tosta e continuativa da parte di TUTTO IL MONDO PALLANUOTISTICO nei confronti delle Istituzioni nazionali le quali sono presenti ad esempio sol quando si vince un MONDIALE.Una grossa mano potrebbe esserci data dai MEDIA che per primi dovrebbero farsi portavoce del disagio in cui si trovano i ns atleti.

  • By Loppa, 10 aprile 2012 @ 21:45

    Bell’articolo e interessante problematica sollevata, cinico e doveroso. Concordo con “p.r”, il rapporto professori-allenatori spesso non è dei migliori e spesso non c’è in nessun modo collaborazione tra le parti obbligando i ragazzi a raccontare bugie sia in un verso che nell’altro.
    Nessuna delle due parti dovrebbe comportarsi pensando di essere “mille volte” più importante dell’altra ma ci vorrebbe sinergia: lo sport dovrebbe capire che è grazie alla scuola se i ragazzi saranno in grado di costruirsi un futuro professionale e la scuola dovrebbe capire che lo sport aiuta i ragazzi nella crescita fisica e nella formazione caratteriale.
    Sono inoltre d’accordo con Zolezzi, in questo delicato periodo di crescita adolescenziale il ruolo più difficile spetta ai genitori.
    Secondo me, potrebbe essere una buona idea se i dirigenti delle società cercassero di avere un sorta di rapporto con i genitori monitorando l’attività scolastica dei propri tesserati. Magari con una fotocopia della pagella.
    Nel caso ci fossero situazioni di rendimento scolastico insufficiente, i dirigenti avrebbero l’occasione per “responsabilizzare” i genitori sull’importanza delle due attività (scuola & sport)

  • By luciano, 11 aprile 2012 @ 02:08

    In fondo la ns. pallanuoto metaforicamente rappresenta la contestualità sociale italiana, che spazia dai pochissimi, ricchissimi e inavvicinabili, ai referenti stile “l’orticello è mio”, all’attualità rappresentata dai giovani dei quali tutti parlano, salvo poi preferire il conoscente/amico datato, senza investire, etc. etc Cufino ancora una volta veste i panni simil Cassandra, di chi elabora, avvisa, premonisce, avverte con il saggio occhio rivolto ad un ambiente che non si è ancora posto il tema di un futuro non lontano poggiante sulla gestione della povertà. In senso lato. Forse le sue preoccupazioni ingrandiscono l’ombra di piccole cose.

  • By roberto, 11 aprile 2012 @ 08:50

    buongiorno, sottoscrivo e condivido totalmente il pensiero del Sig. Alberto. Aggiungo la totale mancanza di supporti psicologici e medici. Lo sport ha necessità di crescere in simbiosi con questi due strumenti, troppi ragazzi smettono per l’uno o l’altro motivo e in ogni caso, quando ciò è avvenuto o avviene e se ne parla, le motivazioni o le giustificazioni degli addetti ai lavori sono sempre le stesse: ” o non aveva testa o aveva troppi problemi fisici..!”. Troppa superficialità e a volte supponenza! E’ sempre più facile e sbrigativo liquidare il problema dando colpa all’altro. Con ciò, stimatissimo Direttore, non voglio essere un detrattore ma, un propositivo. Occorrono, come Lei dice, mirati investimenti economici (i soliti soldi che si continua dire che non ce ne sono più o che nessuno vuole “cacciare”). Non è tutto nero questo mondo, però è troppo grigio.
    Cordialmente
    Roberto

  • By Spillo, 11 aprile 2012 @ 18:28

    I dati (e la coppa Italia) ci mettono davanti una situazione che può esser letta in due modi:
    1) potrebbe essere Positiva se risulta che i giovani sono molto impiegati in Serie A2 o in B (che avrebbero il compito di prepararli ad affrontare il massimo campionato).
    2) Tragica se il loro ruolo è quello di scalda-panchina in qualunque campionato.

    Anche a me non piace usare tutti quei termini sui giovani e non mi piace la presenza di regole che obbligano l’uso dei giovani. Ritengo che sia giusto farli giocare(così quando saranno “grandi” saranno dei giocatori migliori di chi ha conosciuto solo la panchina), ma non deve essere una regola a convincere un allenatore a far giocare chi è nato dopo al posto di un veterano. Il ragazzo deve capire che la convocazione la deve meritare e non averla grazie a un articolo del regolamento.
    Per me il doppio tesseramento è un’ottima opportunità per un atleta che ha la possibilità di partecipare a un campionato maggiore oltre che continuare a confrontarsi con i pari età. Ovvio che le cose devono essere fatte a modo! Per esempio deve essere affidato a una società con un allenatore capace di lavorare con i giovani (e non li escluda a priori) e deve anche avere la possibilità di svolgere anche qualche allenamento con la squadra maggiore. Fate attenzione che non sto dicendo che è l’unico modo per farli crescere, ma è una possibilità ulteriore che abbiamo a disposizione (insieme alla nuova formula dell’U17 nazionale).
    Come ultima cosa, è vero che facendo vedere a un bambino una partita di pallanuoto può imparare tanto! Ma se lui o mamma e papà non vogliono…….obbligare non si può…

    RISPONDE MARIO CORCIONE: E chi ha parlato di bambini! Tutti avrebbero da imparare a vedere giocare i campioni, anche i giocatori adulti. In primis Under 17 e Under 15, ma alla Scandone durante la Final Eight ne ho visto pochissimi. Colpa degli allenatori, non dei genitori.

  • By Spillo, 11 aprile 2012 @ 19:45

    Il mio intervento è relativo alla mia esperienza. Ho visto tante volte rispondere no a un allenatore volenteroso(o si e nn presentarsi…). Ho preso per esempio i bambini perchè da li si incomincia potevo fare l’esempio di ragazzi più grandi che rifiutano x andare a giocare a calcio nei giardini…
    Certamente se abbiamo allenatori che se ne lavano le mani, non si può far nulla. Però anke se fanno il loro dovere non è certo e automatico che ci sia il seguito.
    Grazie della risposta

  • By bruno cufino, 11 aprile 2012 @ 22:51

    Sempre piu spesso usciamo dal problema sollevato. Quello dell’utilizzo dei giovani, nel contesto della problematica che ho provato a sollevare, c’entra come il cavolo a merenda…Parlare di produzione di giocatori e non di mercato è altra cosa. I giovani giocano se sanno giocare e sono all’altezza non solo per un fatto anagrafico. Ma qui si dovrebbe provare a discutere di altro!

  • By Kunta Kinte, 12 aprile 2012 @ 16:16

    Come sempre le riflessioni, corredate anche di interessanti ricerche del prof. Cufino, risultano essere di grandissimo interesse, ma per assurdo partirei dalla risposta di “giocatore”. Il problema è tutto lì nella buona fede di chi ritiene di poter quantificare in denaro un valore che pur essendo enorme sotto molteplici punti di vista, è pari a zero per quel che riguarda il denaro. E’, purtroppo, una legge di mercato che il salario, lo stipendio, le competenze riconducibili ad una prestazione di lavoro debbano essere inserite in un meccanismo di produttività. Per quel che riguarda la pallanuoto, tutto questo non esiste, ogni singolo rimborso conferito ad un qualsiasi addetto ai lavori, proviene da altra fonte. Lo stesso discorso vale per tutte le discipline che appunto non producono nulla in termini di rientri. L’unica exit strategy alla sempre meno lenta agonia di questi mondi, è un affaire di portata molto più ampia. Un qualcosa che può appartenere solo ai Ministeri, alle politiche di un Governo, forse neanche nazionale… Nel giro di poco, molto poco (massimo vent’anni) saremo controllati anche in questi ambiti da altri popoli. Lo sport è come la ricerca, va alimentato dalla base e dalle istituzioni, in un disegno sociale più ampio. Anche e soprattutto quando le risorse investite sembrano improduttive, è proprio in quel momento che si accendono dei focolai di FUTURO. Mentre le nostre giovani generazioni crescono a pane e Grande Fratello, le stesse generzioni Africane e/o Asiatiche, combattono per la propria libertà in strada… Di chi è il futuro?????

  • By zolezzi, 13 aprile 2012 @ 10:24

    è evidente che non tutti hanno colto il tema che l’articolo del direttore ha sollevato.
    molti commenti si riferiscono al minutaggio e all’impiego dei giovani atleti ma seppur questo è un tema importante, non riguarda in nessun modo l’analisi che l’articolo dovrebbe stimolare.
    ben diverso e piu’ profondo a mio parere è l’argomento.

  • By mario, 13 aprile 2012 @ 16:21

    salve a tutti sono un tesserato fin atleta/allenatore ho letto i vari commenti posso dire di essere d’accordo con il sig.Cufino.alleno da pochi anni una squadra under 17/15 è da un po’ che mi domando quale sia il modo migliore di insegnarli la famosa educazione sportiva oltre che quella della nostra vita quotidiana.mi sono messo in discussione sempre perchè cerco di insegnare loro che ogniuno di noi deve sempre e non dico solo guardare a se stesso e mai incolpare o guardare ciò che fanno gli altri…ma non ci sto riuscendo sicuramente perchè sbvaglierò in qualcosa ma mi sono reso conto che questa famosa educazione di cui io parlo la si deve iniziare da quando i bambini mettono piede in un centro sportivo…devono imparare a responsabilizzarsi non devono essere i genitori a risolvergli i problemi o a premirli…vivo un una realtà dove l’esempio piu sano della squadra maggiore di A1 manda a quel paese il proprio compagno l’allenatore,l’arbitro….e allora io mi domando è così positivo far venire i ragazzi a vedere le partite incitare il pubblico a dire parolaccie sputare ecc ecc?quanto tempo spreco a insegnare un qualcosa e l’ambiente che mi circonda fa l’esatto contrario?è vero noi giocatori siamo sempre anonimi nei nostri interventi perchè al potere hanno il coltello dalla parte del manico sempre perchè noi giocatori non siamo riusciti a far prevalere la nostra associazione anche perchè con chiunque parli dicono che non ha senso perchè i giocatori che hanno piu voci in capitolo solo quelli della prorecco e non hanno i problemi di tutto il resto degli iscritti…è giusto formare un giovane atleta e completarlo in tutto e per tutto da giovane basta sapersi organizzare…ma perchè in passato noi cosa facevamo?oggi sono tutti poverini troppo impegnati con i loro compiti e le mille attività che fanno e io sottolineo mille attività fatte tutte male , sono poverini piccoli e i genitori li devono proteggere in tutto e per tutto….ma dove dobbiamo andare?non si presentano alle partite perchè hanno problemi famigliari e invece venno a fare le loro scampagnate con i loro amici….e i genitori li coprono…ma ai miei tempi gente cosi veniva cacciata a calci nel sedere…invece oggi dobbiamo inserire nella lista dei giocatori anche il figlio di quello piuttosto che di quell’altro…e perchè vi sembra normale che l’allenatore della prima squadra che non calcola il settore giovanile poi si chiama i ragazzini U 17/15 senza chiedere all allenatore di pertinanza se se lo merita cosa ne pensi ecc ecc li chiami per riempire le tue mancanze ma perchè non chiedi se possono essere premiati.ma sbaglio o stiamo raggiungendo ogni limite di sopportazione?questa non è educazione sportiva.quindi mi domando sono io che sbaglio o la società in cui opero fa vomitare o è una cosa normale anche in altre società?…scusate lo sfogo ma forse se le cose non cambiano radicalmente già dalla scuola nuoto non possiamo fare altro che ritrovarci ragazzi viziati senza una spina dorsale…scusate lo sfogo ma questa è una realta che sto vivendo—-w la pallanuoto VERA

  • By wcritic, 13 aprile 2012 @ 23:06

    Se facciamo l’equazione pallanuoto= +sacrifici-soldi allora la signora Di Mauro ha perfettamente ragione, ma se vogliamo invece pensare cosa rappresenta lo sport per la crescita e la formazione dell’individuo, mi trovo in completo disaccordo con lei, spesso i ragazzi o i genitori si lamentano perchè non hanno abbastanza tempo per studiare, (questo anche se vanno alle Medie inferiori), ogni allenatore ogni volta tira fuori un qualche esempio di qualcuno capace di fare bene entrambe le cose, questo impegno costante e gionaliero questa capacità di gestirsi il tempo tra studio e sport, sicuramente se la ritroveranno come capacità di fare, ed impegnarsi per migliorare in tutte le attività che svolgono.
    Di solito i più costanti negli allenamenti sono anche quelli che vanno anche meglio a scuola.
    Per quanto riguarda il discorso sul dilettantismo e la fabbrica degli sbandati senza futuro li come al solito centrano molto le possibilità che ti offre la famiglia, il problema sollevato da Bruno infatti si verifica soprattutto per atleti che sicuramente, fanno i “professionisti” perchè non hanno molte alternative, quando sono ancora giovani, dopo quando se ne rendono conto è sempre più difficile inserirsi nel mondo del lavoro.

  • By allenatore, 14 aprile 2012 @ 10:43

    Ho letto con attenzione l’articolo del prof Cufino ed il suo grido di allarme. Nel complimentarmi per le sue osservazioni che anche in questa circostanza mostrano attenzione e competenze rare nel nostro mondo, mi permetto di aggiugere qualche suggerimento. Oggi siamo indubbiamente di fronte ad un bivio: o continuare sulla strada intrapresa e quindi rischiare bancarotta dei club e progressivo depauperamento della pallanuoto di alto livello perchè sempre meno atleti saranno disponibili ad impegni gravosi, oppure, come dice Cufino, invertire la tendenza anche sul piano dei sietemi tecnici per la fascia di età 14/18 anni. La seconda strada, senza dubbio interessante, richiede però studio ed attenzione e grandi contributi di idee ed anche di mezzi organizzativi. Perchè non coinvolgere in questa discussione gli allenatori delle squadre nazionali e i vertici federali? Da una tavola rotonda tra questi, gli allenatori dei club più importanti e magari anche lo stesso Cufino potrebbe venire fuori un progetto concreto da cui trarne beneficio tutti,compreso il Recco che, se le cose continuano così, non avrà più un mercato dove spendere.
    Grazie per la pubblicazione

  • By , 15 aprile 2012 @ 14:17

    caro mario( allenatore e giocatore) il tuo intervento mi ha fatto pensare alle tante battaglie fatte per la meritocrazia, e aggiungo che io andavo d’accordo con l’allenatore delle giovanili e che si faceva un lavoro d’equipe, ma spesso tutto questo non è servito a niente , spesso sei considerato un alieno perche vuoi fare rispettare le regole del buonsenso,vuoi che ci sia rispetto e lealta, vuoi che ci si alleni con professionalità vuoi che tutti dico tutti rispettino le regole, e allora interviene la societa ti scavlca e dice dai sei troppo esgarato una di elasticità…. solo che qui non si tratta di elasticità , vuoi sapere come è finita , no caro mario te lo immagini si purtroppo ora siamo fuori moda, ma forse come le minigonne torneremo di moda prima o poi
    ciao e in bocca al lupo

  • By , 16 aprile 2012 @ 10:45

    non appena si tocca il tasto giovani e borsellino, vengono scatenati fiumi di parole. tutti han ragione (a parte il fantomatico giocatore) ma alla fine rimangono solo parole: chi e’ buono buono ma buono non ha problemi. chi è buono ed è sponsorizzato (ma anche chi è medio o scarsetto ma con sponsor vari) anche li non ci son problemi. per gli altri solo sacrifici e spese: un piccolo orto mal coltivato che con contrazione degli >”sponsor veri con grano” verrà sempre meno coltivato.
    Il futuro è verde ma non perchè giovane.
    bravi Bruno e Mario Voi provateci sempre tanto solo fumo fumo.
    grazie mille

  • By jack, 19 aprile 2012 @ 11:02

    Mamma mia che polverone ha sollevato questo articolo. Bravo il vostro direttore sempre attento alle dinamiche della pallanuoto e non solo quelle tecniche. Mi chiedo perchè gli altri allenatori non trovino il tempo e la volontà di fare altrettanto. Forse avremmo una pallanuoto migliore

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